Mi chiamo Mia Parissi e sono nata a Firenze la notte di san Lorenzo del 1978.
E con questo potrei aver detto tutto.
A Firenze non ci vivo più trapiantata, trasportata, nel profondo profondissimo nord.
Adoro la musica ma non sopporto l’haevy metal.
Sono nicotina e caffeina dipendente, ma anche con il sushi non scherzo.
Avevo un coniglio. Nano. Undici anni di amore folle e burrascoso.
Amo il mare e odio la montagna.
Ho uno scarso senso dell’orientamento.
Quando vado al supermercato passo sempre dal reparto cancelleria anche se non devo comprare niente.
Nel 1997 ho pubblicato la raccolta “Racconti come fossero morsi” all'interno della collana "Quaderni senza fondi", bimestrale di Arci Toscana Edizioni. Nel 2000 ho fatto uno stage della scuola Holden e per un pelo non ho rischiato di entrare al Master Biennale con una borsa di studio.
Nel 2002 ho sceneggiato, insieme al regista Jacopo Addini e allo scrittore Paolo Grassi, il cortometraggio “Mi mangio il tuo amore”. Nel corto ho pure recitato.
Sempre nel 2002 ho partecipato al concorso “Premio Letterario IdeaDonna”. Hanno selezionato e pubblicato il racconto “Percorsi”.
E devo dire che il 2002 è stato proprio un anno prolifico. Ho realizzato come autrice e operatrice il documentario “CampoBase”, progetto dell’associazione A.R.C.I. sulla detenzione e il dopo del detenuto.
Ho anche conosciuto Wilma Labate. Da questo incontro è nato il mediometraggio “maledettaMia”. In questo lavoro ci ho messo il mio bel faccione e una parte dei testi. Nel 2003 abbiamo partecipato, fuori concorso, al Festival del Cinema di Venezia. Venezia è umida, i traghetti costano troppo ma lo spritz è stata davvero una scoperta entusiasmante. Nel 2005 inizio a tenere laboratori e corsi di scrittura creativa. Nel 2007 sul numero 13 della rivista Toilet viene pubblicato il racconto "Treno metropolitana tram". Il 19 settembre dello stesso anno, intorno alle 11.00 di mattina, il postino mi ha consegnato la prima copia del mio libro, VA:LE.
Nel 2009 il racconto "Oggetto metallico" prima viene pubblicato nella raccolta "Il corto letterario 2009", edita da Il Cavedio e poi su "Tempostretto. Quotidiano online di Messima e provincia".
Il 18 dicembre 2011 è uscito il mio secondo libro, la raccolta di racconti illustrati "Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta".
Voglio dire, mica pizza e fichi.
Ho attraversato parte del 2011 e tutto il 2012 lavorando ad un testo per il teatro partendo da “Non c’è“, uno dei racconti presenti nella raccolta del Tarlo Ippopotamo. Lo spettacolo si chiama “Ni una más“ e parla di violenza sulle donne. Lo porterà in scena la compagnia inoutput di Nerina Cocchi e Andrea Messana.
“Ni una más” ha debuttato al Teatro Instabile Miela di Trieste il 16 aprile 2013.
MARILÙ [2014]
Marilù si è persa. E nessuno le aveva mai detto che sarebbe potuto accadere. Nessuno le aveva detto che un giorno le sarebbe potuto accadere di guardarsi e non riconoscersi, guardarsi, toccarsi e non conoscersi.
Marilù allora si guarda intorno. Perché ci dovrà pure essere qualcosa, uno stipite, un colore. Un cassetto, un angolo. Ci dovrà pur essere qualcosa che la riporti alla normalità. Un oggetto, qualcosa. Che a guardarlo faccia tornare tutto come prima.
Nessuno le aveva mai detto che il destino non è scritto da sempre e per sempre nel corpo.
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QUI PRIMA POI - UN TRITTICO [2014]
Qui non mi faccio domande, perché qui non ho bisogno di risposte. Qui le domande sono solo pensieri pensati, o pronunciati, con un’intenzione interrogativa senza tensione, senza l’ansia per la possibile assenza di risposta conseguente che qui è solo pensiero pensato, o pronunciato, con una intenzione assertiva senza tensione, senza l’ansia di non trovare aderenza e corrispondenza con il pensiero precedente.
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IL TARLO IPPOPOTAMO [2011]
Chi mi conosce lo sa, io sono una persona tranquilla, modesta. Ho cinquantadue anni e da quando ne ho venticinque mi occupo della contabilità di una azienda di trasporti. Lo faccio senza velleità, con precisione. Ho un buon rapporto con il direttore, con la sua segretaria e con i corrieri. Sanno che svolgo il mio lavoro senza errori, senza incidenti. Sono sempre disponibile, per un sorriso, un favore o uno scambio di opinioni.
Mi accontento delle piccole cose, non oppongo resistenza alla vita e agli inconvenienti. Prendo quello che arriva, non mi danno per quello non viene.
(Pubblicato nella raccolta “Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta” autoproduzione.2011 acquistabile qui >>>)
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NEVE [2011]
- Sembra non voler finire mai.
- Cosa?
- Questo maledetto freddo.
- Dici tutti gli anni la stessa cosa.
- Non è vero.
- Sì che è vero.
Chiudo gli occhi, mi sforzo per non ridere. Li riapro. Fuori nevica, fuori dalla finestra che fissiamo entrambe inebetite e incredule.
(Pubblicato nella raccolta “Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta” autoproduzione.2011 – acquistabile qui >>>)
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OCCHI NEGLI OCCHI [2010]
Il caldo gli stronca il cervello. Gli annebbia la vista.
Insieme a tutta la merda che pensa. Che pesa.
Se ne deve liberare, immediatamente. Stringe i pugni, si guarda le scarpe da ginnastica, sudicie e consumate, pensa ai suoi piedi bolliti mentre il tram parte rinculando dopo aver richiuso le porte su quest'afa che uccide.
I capelli appiccicati alla nuca, sulla fronte, sta seduto in fondo, i finestrini sono aperti, ma entra solo aria bollente. Con tutta la merda che pensa. E di cui si deve liberare immediatamente. È solo. La ragazza seduta qualche metro più in là che legge Vanity Fair è carina, ma qualunque impulso sessuale è inghiottito dalla merda che pensa, e dall'immagine dei suoi piedi bolliti dentro le scarpe da ginnastica.
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MARIAROSA [2010]
- Come si sente oggi?
- Perché mi fa sempre questa domanda?
- È il mio lavoro.
- E il mio è risponderle?
- Se vedere le cose in questo modo la aiuta, diciamo che sì, questo è il suo, di lavoro.
- Non mi aiuta.
- E cosa la aiuterebbe?
- Credo che sia questo il suo lavoro.
- Cosa intende dire?
(Pubblicato nella raccolta “Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta” autoproduzione.2011 – acquistabile qui >>>)
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CAPELLI NERI [2010]
Certo che posso raccontarle come sono andate le cose. Si vuole sedere? No?
Ci penso ogni giorno a quello che è successo, agli eventi che mi hanno portata ad essere qui, oggi.
Le assicuro che ci penserebbe ogni giorno anche lei. Certo, poi, cosa si prova a ripensarci dipende da come uno è.
Guardi, se mi permette, le do un consiglio, venga qua, si sieda e chiuda gli occhi. Io lo faccio sempre quando ci ripenso. E rivivo tutto come fosse adesso. La prego, chiuda gli occhi. Perché è l'adesso che conta. Sempre.
(Pubblicato nella raccolta “Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta” autoproduzione.2011 – acquistabile qui >>>)
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NON C'È [2010]
Arrotolo l'ennesima sigaretta, che fumerò a metà. Nauseata più dal gesto che dal sapore, o dalla sensazione di catrame aggrappato ai polmoni.
È un'altra giornata senza fine, ragazza mia, un'altra giornata passata a tergiversare, attraversata cercando altro da non fare pur di non.
La bottiglia è aperta, basterebbe appoggiarci le labbra, tirare indietro la testa e lasciar scivolare in gola qualcosa che conosco bene. Ma non è più tempo nemmeno per questo, la mente annebbiata e svegliarsi la mattina con il sapore del fegato sulla lingua.
Spengo la sigaretta a metà.
Fuori sta facendo buio. Come ieri del resto, e poi domani.
(Pubblicato nella raccolta “Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta” autoproduzione.2011 – acquistabile qui >>>)
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PIOGGIA [2009]
Lo sapevo che non stavo facendo la cosa giusta.
Avrei dovuto, semplicemente, applicare alla vita il principio ineluttabile secondo il quale il tempo passa e non c’è modo di riaverlo indietro, con corollario annesso per cui i dolori provati non è vero che spariscono. Restano lì, esattamente lì, dove hanno colpito la prima volta.
Lasciano un livido blu, viola, giallo. E quando pensi che l’ematoma si sia riassorbito, picchiano duro, di nuovo. E torna il livido, l’ematoma, sangue fuoriuscito dal sistema circolatorio. Cicatrice multiforme, multicolore.
Che alle volte preferiresti una frattura.
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OGGETTO METALLICO [2009]
Con il tempo ho imparato a vivere a margine dell’obiettivo della sua macchina fotografica.
Oggetto metallico, prolungamento protuberanza del corpo, delle braccia, delle mani. Corpo, obiettivo, diaframma, lente.
Luci, ombre, colori, soggetti oggetti.
Pubblicato nella raccolta “Il corto letterario 2009” ed. Il Cavedio
Pubblicato su "Tempo Stretto. Quotidiano on line di Messina e provincia".
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PACE FATTA [2009]
Ieri, mentre fumava una sigaretta, in piedi, un passo fuori dalle porte automatiche della stazione, le è passato davanti un gatto nero a cui mancava una zampa.
E’ stato un attimo, guardarlo, il passo spezzato.
E ha cominciato a piangere.
Per il gatto. E per sé.
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TRENO METROPOLITANA TRAM [2007]
Ho le mani sporche.
E sono stanca.
Ma la cosa che mi disturba di più è che ho le mani sporche.
Treno, metropolitana, tram.
Tram, metropolitana, treno.
Pubblicato su “Toilet, racconti brevi e lunghi a seconda del bisogno” (Anno IV, numero 13, maggio 2008 - 80144edizioni)
(Pubblicato nella raccolta “Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta” autoproduzione.2011 – acquistabile qui >>>)
QUESTO PENSO [2006]
Bibibibì ... bibibibì ... bibibibì ... bibibi.
Il primo pensiero che ti passa per la testa quando a svegliarti è il suono di una sveglia te lo scordi sempre un attimo dopo. Sai solo che probabilmente è stato una bestemmia, o comunque qualcosa di poco carino.
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DORMENDO [2002]
Quando si sarebbe svegliata?
La stanza in penombra, le persiane accostate dietro i vetri chiusi per rendere l'ambiento fresco in contrasto con quel caldo infernale di inizio luglio.
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PERCORSI [2002]
Mia madre ha deciso di divorziare. Ho ricevuto una sua telefonata due giorni fa, mi invitava a pranzo per il giorno dopo. Ero praticamente sulla porta, stavo per uscire, ho risposto distrattamente di sì.
pubblicato nella raccolta “Libera o Liberata”, V edizione del “Premio Letterario IdeaDonna” indetto dal Comune di Asciano, Siena
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IN BILICO [2002]
Oscillazioni.
Lenti mutamenti e pulsioni improvvise.
L'anima che reclama vibrazioni.
Desideri obliqui.
Perennemente in bilico.
Suscettibili stati d'animo.
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PALOMA [2001]
La vita di Paloma è un susseguirsi di movimenti concreti, affanni quotidiani sempre uguali, sempre loro, mai un attimo di quiete, perché le cose da fare sono tante, sono sempre le stesse, scandiscono il tempo meglio di un orologio.
La vita di Paloma è qualcosa di estremamente reale, di tangibile, la vita di Paloma è dannatamente concreta, ma lei ci passa attraverso, quasi senza pensare, come sospesa in una dimensione fatta solo di gesti automatici.
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CAPENDO [2000]
E' notte fonda, una tranquilla notte d'estate.
Stesa sul letto, illuminata dalla tremolante luce di una candela infilata in una polverosa, vecchia bottiglia di spumante, scrive sul suo diario battendo, con i piedi nudi, il ritmo della musica che dalle cuffie ben piantate nelle orecchie gli arriva direttamente nella testa.
Dalla finestra aperta non entra nessun rumore, nemmeno uno piccolissimo, insignificante.
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IL PESCATORE [2000]
"Pensa, alla fine sono delle tavole di legno di otto centimetri che ti separano da settecento metri d'acqua."
Mi disse così, mentre bevevamo vino bianco ghiacciato seduti nella terrazza di casa sua.
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EPIFANIA [1997]
Che poi uno, alla fine, mica lo capisce come sono andate davvero le cose.
Perché ripensandoci si può anche arrivare ad una conclusione, che però non sarà mai una certezza.
E non sai nemmeno come sarebbero potute andare se.
Mica facile come situazione.
Pubblicato nella raccolta “Racconti come fossero morsi” (“Quaderni senza fondi”, bimestrale di
“Arci Toscana Edizioni” - n.6 novembre 1997)
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SUONI [1997]
Brulichio sommesso di bisbigli e sospiri.
Fumo di sigarette in dense nuvole contro la luce bianca dei riflettori.
Corpi in movimento, corpi in attesa, corpi alla ricerca di un proprio spazio.
E poi via le luci.
Buio.
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STORIA MINIMA [1997]
Pioveva. Veniva giù quella pioggerellina autunnale fastidiosa e umida. Leggevo Jean Paul Sartre comodamente seduta in poltrona alternando le parole a sorsi di tè bollente.
Dolcemente intorpidita e assonnata non mi sarei alzata da quella poltrona per nulla al mondo.
Pubblicato nella raccolta “Racconti come fossero morsi” (“Quaderni senza fondi”, bimestrale di
“Arci Toscana Edizioni” - n.6 novembre 1997)
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PONTE SANTA TRINITA [1996]
Pioveva. Veniva giù quella pioggerellina autunnale fastidiosa e umida. Leggevo Jean Paul Sartre comodamente seduta in poltrona alternando le parole a sorsi di tè bollente.
Dolcemente intorpidita e assonnata non mi sarei alzata da quella poltrona per nulla al mondo.
Pubblicato nella raccolta “Racconti come fossero morsi” (“Quaderni senza fondi”, bimestrale di
“Arci Toscana Edizioni” - n.6 novembre 1997)
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Una donna sdraiata sul ciglio della strada, un’auto che accosta. Anna e i suoi anfibi in marcia, Tessa e i suoi capelli in perfetto ordine. L’estate con il suo sole a picco sull’asfalto, la strada che dalla pianura lombarda precipita giù fino alla punta del tacco, nel profondo Salento. L’automobile, i chilometri che scivoleranno lenti sotto le gomme, l’itinerario che si ritroveranno a condividere, a poco a poco inevitabilmente. VA:LE è una storia che sono due storie, è un viaggio che sono due donne. Si studieranno, Anna e Tessa, lo faranno lungo tutto il dorso della penisola, viaggiando, ascoltando jazz, masticando panini nei bar. Due vite in gioco, due modelli in conflitto, primitivamente inconciliabili. E la stessa polarità sembra correre dentro ciascuna di loro, nei rispettivi passati remoti, nei loro futuri, nei loro sogni e negli incubi peggiori. Trame che non possono più attendere, in quest’unico reale possibile, sorprendente e inatteso, questo presente che le renderà alla fine complici, inaspettatamente complementari, indispensabili l’una per l’altra.
[Paolo Grassi]
Settembre 2007
La storia di questo libro forse non andrebbe nemmeno raccontata. Insomma, niente di speciale. Un giorno sono andata a piedi al mare con un’amica di mia sorella. Camminava davanti a me. Quell’immagine mi si è piantata nella testa. Sono tornata a casa la sera, mi sono seduta al tavolo e ho scritto:
Metteva un anfibio davanti all’altro, attenta a non uscire dalla riga bianca, il resto del corpo a seguire l’andare dei piedi.
Le lunghe gambe abbronzate.
La vita, fine ed elastica, subiva una leggera rotazione, ora a destra ora a sinistra, a seconda di quale piede avanzava. [...]
Era l’estate del 1996.
Sono passati undici anni.
Undici anni in cui questo libro è stato finito, ricominciato, abbandonato, ritrovato, spolverato, sezionato, archiviato, dimenticato.
C’è stato un momento in cui questo libro ha rischiato di essere pubblicato, pubblicato davvero dico. Allora l’ho lavato, pettinato, gli ho messo il vestito della festa. Ma la festa è stata rimandata, poi rimandata, e poi rimandata ancora.
E sono contenta di questo.
I tempi biblici dell’editoria mi hanno dato modo di riflettere, di pensare, di dare una forma al mio desiderio di scrivere non più solo per me ma anche per gli altri, per gli sconosciuti, senza però perdere il senso di come va davvero il mondo. Senza perdere il senso di come vorrei che andasse il mondo.
VA:LE esce allora in internet, registrato sotto licenza Creative Commons.
Perché nonostante tutto VA:LE merita comunque di avere una sua vita fuori dalla mia stanza.
Ma soprattutto perché credo fermamente che le parole siano di tutti.
Puoi trovarne il ritratto in qualche noto bestiario, vecchie litografie, magari no. Zeppo di nevrosi, pungoli affilati, il tarlo ippopotamo non ha requie, né te ne dà. Sbuca da qualche scansia, una qualsiasi, e corre a pruderti addosso, trapano di un insetto. Come un frinire, o struscìo di metalli. Ti si fa sotto e attacca con le sue storie, sei racconti a miccia corta, se non li lanci subito esplodono in mano. Sei noccioli di guai, ironie, dolori, ognuno allergico a retorica e pietismi. La bestiola li palleggia in bocca come cicche, semini di certi frutti grassi, colorati e amari, capaci di strozzarti, se solo provi a mandarli giù. Così continui a succhiarli. Sei episodi per diciannove tavole illustrate, altrettanto a miccia corta, saturnine e schiette, ché il tarlo ippopotamo non si accontenta di dire, vuole farti anche vedere. E ci sa fare, l’animaletto, gli va concesso. Apre la bocca, sussurra, stende un colore, tratteggia, ti prende.
È che poi se ne resta lì, incollato al fianco, sulla tua spalla, dentro al cervello, proprio non se ne vuole più andare.
[Paolo Grassi]
dicembre 2011
“Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta” è una raccolta di sei racconti accompagnati da diciannove bellissime, inedite, illustrazioni di Claudia Canavesi, Margherita G., Izm, Mirko Olivieri e Edi Sanna.
“Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta” è una pubblicazione interamente autoprodotta, registrata sotto licenza Creative Commons 3.0, realizzata con la collaborazione di Gianfranco Cuscito per la parte grafica e di Paolo Grassi per i consigli editoriali
Il progetto Tarlo nasce da un desiderio, il mio, di vedere le mie storie raccontate con una forma di comunicazione diversa dalla parola. Il progetto Tarlo è la riprova che i desideri si deve cercare di realizzarli, sempre.
E sono molto lusingata delle opere che i cinque artisti presenti in questa raccolta hanno realizzato per me e per le mie parole.
Ognuna di queste tavole riesce a cogliere un colore, una sfumatura, un’atmosfera, un passaggio particolare.
Sono lusingata del tempo che mi hanno dedicato, dalla passione che ci hanno messo e della partecipazione al progetto Tarlo al di là delle illustrazioni.
E sono molto orgogliosa del risultato finale, del libro che siamo riusciti a mettere insieme.
Sono orgogliosa delle professionalità che sono state coinvolte sia per quanto riguarda la parte grafica, impaginazione, copertina e eBook, sia per quanto riguarda i consigli editoriali.
Quando poi le professionalità sono anche delle belle persone allora è fatta. Anzi, si fa perché le professionalità sono, prima di tutto, delle belle persone.
Mi piace l’idea della collaborazione viva, dell’esperimento, del vedere fin dove si riesce ad arrivare cercando di realizzare un’idea. Mi piace sbagliare per poi non ripetere l’errore.
Mi piace l’artigianalità dell’autoproduzione, il mettersi in gioco dall’inizio alla fine, esserci in ogni passaggio, nel bene e nel male.
Tutto questo sta dentro a “Il tarlo ippopotamo e altri racconti a miccia corta”.
Tutto questo e sei racconti scelti tra quelli che ho scritto negli ultimi quattro anni.
“Il tarlo ippopotamo”, “Treno, metropolitana, tram”, “Mariarosa”, “Capelli neri”, “Non c’è”, “Neve”, li trovate nella sezione racconti.
Ho scelto questi perché penso che siano i migliori che ho scritto. Li ho scelti perché in ognuno di questi sei pezzi ho qualcosa di molto importante da dire.
E sono legata all’anarchico gnac di Tarlo Ippopotamo, alla serena tristezza di Mariarosa, all’amore di “Neve”, all’incoscienza misurata di Caterina, all’obliquità di Chiara. E sono legata alla rabbia e al dolore che scorrono nelle vene di Cesca.
Da "Non c'è" a "Ni una más"
Ho scritto “Non c’è” nell’estate del 2010. Ero in Salento, una terra capace di far emergere il meglio di me. Le mie parole migliori nascono lì. Non ho ancora capito perché.
Ho scritto “Non c’è” in un momento di forte, fortissima rabbia.
Credo che la rabbia sia un sentimento sano. Quando si riesce a riconoscerla, a guidarla, a gestirla. La rabbia, per me, sta alla base della forza.
Quando ho scritto “Non c’è” ero, paradosso, stanca delle parole. Ero stanca del pensiero. Ero stanca del ragionamento.
Come tutto quello che scrivo, in un modo o in un altro, “Non c’è” parla dell’annullamento della distanza tra pensiero e azione. Di una sospensione temporanea del tutto che permette al dettaglio, a quel momento e non un altro, di emergere. Al di sopra, al di là.
Parla di due donne. Parla di Luisa, a cui è stato impedito di essere libera. E parla di Cesca. A cui è stato impedito di pensare a Luisa domani. A cui è stato impedito di pensare se stessa, domani.
Parla del tentativo di riportare tutto in equilibrio.
“Non c’è” è la base, e il centro, di “Ni una más”.
Il processo creativo che ha portato alla luce “Ni una más” è stato lungo. E doloroso. E complesso.
Si è trattato di costruire il macro che potesse contenere il dettaglio, il momento.
Parlare di femminicidio, pensarlo, significa scavare, significa spalancare una porta dopo l’altra. Dentro e fuori.
E infiniti, ed estremamente articolati, sono i fattori che concorrono a comporre la complessità che sta alla base, e dentro, e intorno alla violenza sulle donne.
Infinite sono le porte che mi si sono spalancate davanti, investendomi. La testa, lo stomaco. E il cuore.
Scrivere “Ni una más” è stata anche una questione di scelte.
È stato necessario scegliere. Un passo alla volta.
“Ni una más” parla di nomi. E numeri. E parole.
Nomi che devono essere pronunciati, numeri che devono essere guardati. Parole inesatte che devono essere corrette. E parole, altre, che è necessario pronunciare. Con forza.
“Ni una más” non ha la pretesa, né la presunzione, di essere un testo esaustivo. Non offre una cura, e nemmeno una soluzione. Né tanto meno la soluzione.
“Ni una más” dice, nero su bianco, che c’è un problema. E che questo problema riguarda tutti. E che ci sono cose che devono essere guardate, con coraggio.
“Ni una más” dice, con forza, non una di più.
Ni una más - un testo per il teatro
Mia Parissi
autoproduzione
anno 2013
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La prima volta che ho pensato alla possibilità di tenere dei corsi di scrittura creativa mi sono detta che forse ne dovevo mandar giù ancora un bel po' di polvere prima di avere qualcosa da "insegnare" (e le virgolette non sono un vezzo, ma una necessità, perché a scrivere, lo dico sempre, non si insegna) su techiche e stili.
Poi però, fortunatamente, incoscienza e voglia di sperimentare hanno preso il sopravvento a scapito del buon senso.
E così, nel 2005, ho intrapreso questa sorprendente esperienza.
Il corso da 12 incontri è quello che faccio con più regolarità. Porto i corsisti dalla parola alla struttura del testo con i suoi colori e il suo ritmo, passando dalla creazione del personaggio alla stesura di un dialogo.
La due giorni, invece, è una immersione totale nella scrittura con due mattinate di teoria e due pomeriggi in cui impegno i partecipanti in prolifici laboratori pratici.
Poi ci sono le serate monografiche. "Virginia Woolf, un incontro informale. La scrittura nella vita, la vita nella scrittura", "Reading cosmicomico - Se una notte di inverno un viaggiatore di Italo Calvino" e "Le donne e la scrittura - Le scrittrici nascoste del passato".
In cantiere: una monografica su Amelié Nothomb e delle serate di lettura: "Come dio comanda" di Niccolò Ammaniti, "Cecità" di Josè Saramago", "Novecento" di Alessandro Baricco e "Memorie di Adriano" di Marguerite Yourcenar sono alcuni dei titoli in programma.
Per qualsiasi informazione in più potete scrivere qui lab@blockmia.it
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A volte succede. Traiettorie creative imprevedibili.
Questa sezione è dedicata ai miei corsisti e alle loro creazioni.
IL GRIGIO DELLA FOLLIA
Con i MORIVANTO è stato amore a prima vista, quando ancora non erano i MORIVANTO ma Morena, Ivan e Antonella.
Sono entrata in aula per la prima lezione del mio corso di scrittura creativa, me li sono trovati davanti e in ognuno di loro ho visto qualcosa che mi ha fatto sorridere e pensare che quello sarebbe stato proprio un bel corso.
È molto importante che i corsisti portino in classe tutto quello che hanno da dare e da dire.
Loro lo hanno fatto nel migliore dei modi.
E galeotta fu la lezione sulla creazione del personaggio.
Silvano, che sarebbe poi diventato Silvano Maria Pregadio, spuntò fuori dal lavoro di gruppo svolto in classe e non li ha più abbandonati.
Non ci ha più abbandonati.
Morena, Ivan e Antonella hanno formato una squadra compatta e si sono divisi i compiti senza nemmeno dover discutere. Si sono occupati della trama, si sono scelti i personaggi da costruire e da seguire. Hanno deciso insieme cosa ne sarebbe stato del loro Silvano.
Osservarli al lavoro è stato entusiasmante e, mi si conceda una virgola di orgoglio, molto gratificante. “Il grigio della follia” è il loro primo lavoro svolto in collettivo.
Spero ce ne siano altri.
Molti altri.
Grazie, di cuore.
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L'anti Moccia
«Porca Troia, ma è possibile che non si trovi mai un fottutissimo telefono che funzioni?!? Da quando hanno inventato sti cazzo di cellulari poi…le cabine oggi le usano solo come cessi pubblici…E poi no, non ci credo! Non ci credo che tu debba per forza chiedere aiuto a quel bastardo, non ci credo che ti si è rotta la macchina proprio qui e ovviamente non sai farla ripartire…d’altronde è risaputo che le donne non ci capiscono un cazzo di motori, no?…Non ci credo che fa un freddo cane e sei vestita solo con questa tuta di merda…ti fa un culo come una mongolfiera pronta a staccarsi da terra…rossa per di più! E non ci credo che tu sia scappata con queste cazzo di pantofole a forma di coniglio rosa bagnato che ti fanno congelare il sudore tra le dita dei piedi! Sei nella merda…sei proprio nella merda…Brava, i miei complimenti!»
Queste cose le stava dicendo una vocetta nella testa di Anna. Una vocetta che veniva fuori sempre nelle situazioni più spiacevoli, a volte per criticarla e altre volte per incitarla. Anna pensava che un tale turpiloquio non si addiceva certo ad una gentil donzella come lei. Quella, però, non era lei. Era solo la vocetta dentro la sua testa. La rabbia le serrava le mandibole come quelle di un pitbull a cui vogliono rubare il cibo di bocca.
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Scarpe da signori
Ho le mani sporche.
E sono stanca.
Ma la cosa che mi disturba di più è che ho le mani sporche.
Treno, metropolitana, tram.
Tram, metropolitana, treno.
Le mia mani sono nere e sanno di merda. Ma è uno schifo che si lava via.
Ogni mattina non aspetto altro. Riempirmi i palmi di sapone. Mettere le mani sotto il rubinetto. Aprire l’acqua fredda. E godere.
Non c’è niente in grado di darmi così tanto sollievo.
L’altra sporcizia, quella no, quella è diversa.
È qualcosa di indelebile che ormai si è impossessato di me. Vive nel mio corpo a tal punto che di notte mi sveglio a causa dell’odore fetido.
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Respiro
Allora Elisabeth si precipitò lungo la strada per rincorrerlo, senza fiato, tendendo la mano vuota.
“William, non te ne puoi andare!” gridò fino a restare senza voce. “Come farò, William? Come farò?”.
Rosanna sfoglia la pagina del libro, distrattamente. Per qualche secondo segue il tracciato delle parole solo con gli occhi, la mente altrove non ne decifra il significato, deve tornare indietro. Questo romanzo stucchevole, poi, non invoglia proprio alla lettura. Ha sempre detestato i romanzi rosa.
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Scappo in silenzio
Che voglia di vedere un altro cielo, voglia di dormire in un altro letto ad almeno cento chilometri da casa! Mi è capitato diverse volte ma durante l'inverno dell'anno scorso l'ho trovato assolutamente indispensabile, dovevo partire. E non era necessario volare chissà dove, mettere un oceano di mezzo, mi sono accontentata e sono salita su quel treno in una mattina fredda di gennaio per recarmi a trovare una cugina di Firenze che non vedevo da tempo.
La mia è stata voglia di evasione, di scappare dalla solita routine almeno per qualche giorno.
Con la mia piccola valigia occupata da poche cose e gli immancabili libri da leggere negli spazi che abitualmente si aprono nelle mie notti insonni. Anche di giorno, per carità, quando ti senti irresistibilmente attratta da loro che hanno il potere di avvolgerti, coccolarti, emozionarti.
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Evasione
Una volta aveva letto da qualche parte che il primo pensiero del mattino condiziona tutta la giornata. Il suo primo pensiero, anche quel mattino, fu qualcosa di poco simpatico nei confronti della sveglia.
Alice aveva quarantasette anni, una bella famiglia, un buon lavoro e non c’era niente nella sua vita che non andasse; non aveva, perciò, alcun diritto di lamentarsi e avrebbe dovuto sorridere con entusiasmo ad ogni nuovo giorno. Con un vago senso di colpa per il pessimo umore con cui aveva accolto il risveglio, si affrettò a preparare la colazione per i suoi due figli, mentre salutava il marito, che, dopo aver bevuto rapidamente un caffè, si avviava al lavoro.
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MORIVANTO
Davide
Cirpia
Roberta
Rita
Matilde
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